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Giorgio Linguaglossa - Introduzione a Il Guastatore (2012)

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     Ivan Pozzoni trae tutte le conseguenze del fatto che il locutore ha cessato di essere fondatore, e che il linguaggio ha cessato di essere la dimora dell’ego; che, insomma l’essere, l’ego e il linguaggio stanno tutti in una dimensione di galleggiamento dove presente e passato collimano con il futuro-passato. Ivan Pozzoni ha liquidato la poesia così come ha liquidato la filosofia; tutto è affondato sotto i colpi di quel machete che è l’affondamento della Fondazione. Pozzoni risolve (a modo suo) e con pieno diritto la questione della “Poesia” facendo una cosa che, molto semplicemente, è fuori-della-poesia […] Ma, direi che anche questo azzeramento mi sembra una operazione che ha i suoi risvolti positivi e negativi, tanto è vero che Pozzoni riesce meglio quando abbandona la griglia in rime che non riesce in quanto troppo telefonata, mentre riesce molto meglio quando si libera della forma-poesia […] A me la non-poesia di Ivan Pozzoni non dispiace, anzi, direi che mi diverte e mi piace, per alcune caratteristiche: che getta al macero la “neon-avanguardia” (dizione di Pozzoni) che rigetta la poesia “metrica” optando per la “ametrica”; getta tutto nella spazzatura adottando in proprio e in toto tutta la spazzatura, introiettandola in un sistema tipo Beaubourg, un sistema di reversibilità, di reversione degli ordini linguistici, metrici, tematici, sottotematici; ricuce i sotto circuiti semantici e discuce i sotto circuiti ideologici e significazionisti. Pozzoni si pone un problema molto semplice e molto serio: che la poesia contemporanea è rimasta senza un referente e senza un pubblico. E questo è un fenomeno nuovo che la neoavanguardia non si era posta perché il problema a quel tempo non si profilava all’orizzonte con la chiarezza con cui invece si pone oggi. Ennio Abate pone il problema della continuità / discontinuità? Penso che Pozzoni non si ponga nemmeno questo problema; il problema della tradizione e dell’antitradizione? Pozzoni non se lo pone nemmeno. Vuole fare il guastatore, va con le cesoie per spezzare il filo spinato che il Novecento ha posto a difesa dei fortilizi della Tradizione e del Canone, tutte parole grosse che designano un significato preciso: i rapporti di potere che sotto stanno e sottendono i rapporti di produzione tra le istituzioni stilistiche maggioritarie. Pozzoni, a mio avviso, fa bene a buttare tutto all’aria e a carte quarantotto. Non ha nulla da perdere perché non c’è nulla da perdere. Tutto è già stato perduto, e chi non se ne è accorto forse vive nel mondo rodato e patinato dei propri sogni, o perché non gli fa comodo ammettere come stanno le cose. Pozzoni non ci sta a questo gioco all’ipocrisia collettiva che va di moda nel nostro paese, dove si parla di: crisi non-crisi, poesia etica, poesia mitica, fine del realismo, poesia del quotidiano, autobiologia in poesia etc. e chi più ne ha più ne metta. Siamo nella confusione babelica di tutte le lingue e di tutte le maniere. [Introduzione a Il Guastatore, CLEUP, 2012]

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